Anomala certificazione del credito da parte della P.A.
L’Associazione dei fornitori ospedalieri di Marche, Abruzzo e Molise ha chiesto ad Omnialex, società con cui collabora lo Studio Legale LDS, un parere legale volto ad avere chiarimenti in ordine alla procedura anomala di rilascio da parte della P.A. di certificazione del credito nel settore sanitario.
Risponde l’avv. Federico Lerro.
La certificazione del credito da parte della P.A.: breve antefatto storico e normativo
I debiti commerciali delle Amministrazioni Centrali, delle Regioni, degli Enti Locali e degli Enti del Servizio Sanitario Nazionale, derivanti dalla fornitura e di beni e servizi, nonché dalla realizzazione di opere pubbliche, ammontano a più di 80 miliardi di euro.
Un’enorme liquidità che viene sottratta alle imprese, costrette a finanziare forzosamente la P.A. in una fase di perdurante crisi economica.
Già dallo scoppio della crisi del 2008, anche su pressione delle Associazioni imprenditoriali, erano stati approvati alcuni provvedimenti legislativi che potevano contribuire a contrastare questa situazione.
La possibilità per le Regioni e gli Enti Locali di certificare, su istanza del creditore e nel rispetto del patto di stabilità interno, che il credito sia certo, liquido ed esigibile, era stata prevista dall’art. 9, comma 3-bis del Decreto Legge 29 novembre 2008 n. 185, al fine di consentire la cessione del credito pro soluto a favore di banche e intermediari finanziari.
Con l’art. 13 della legge 183/2011, viene trasformata la facoltà di certificazione, per le Regioni e gli Enti Locali, in obbligo cui adempiere entro 60 giorni dal ricevimento dell’istanza.
Con il decreto legge 2 marzo 2012, n. 16 è stato esteso l’obbligo del rilascio della certificazione alle Amministrazioni Statali e agli Enti Pubblici Nazionali, introducendo la previsione della cessione del credito anche nella forma pro solvendo.
Inoltre, il decreto legge 78/2010, modificando il DPR 29 settembre 2009 n. 602, consente di compensare i crediti maturati nei confronti di Regioni, Enti Locali e Enti del Servizio Sanitario Regionale, con i debiti tributari iscritti a ruolo, rinviando l’attuazione a un apposito decreto del Ministero dell’Economia a garanzia del rispetto degli equilibri di finanza pubblica.
In sintesi, era stato definito il quadro normativo di riferimento per l’ottenimento della certificazione dei crediti dalla P.A., ma la perdurante assenza dei decreti attuativi determinava per le imprese creditrici l’impossibilità di ottenere la certificazione stessa, e soprattutto di conseguenza di poterla utilizzare per operazioni di anticipazione finanziaria oppure compensare eventuali cartelle esattoriali.
Commento alla procedura attivabile sul sito del Ministero del Tesoro per ottenere la certificazione del credito verso la P.A., in particolare nel settore sanitario
Spettabile Associazione,
ho avuto modo di valutare la schermata di accreditamento che l’imprenditore deve compilare per perfezionare la procedura volta ad ottenere la certificazione del credito verso la P.A. e che pone onere all’Impresa di rinunciare ad azioni di recupero giudiziario per un tempo praticamente indeterminato.
In effetti, per dare attuazione alla certificazione delle somme dovute per somministrazioni, forniture e appalti, sono stati varati due distinti decreti, di identico contenuto, uno relativo alle Amministrazioni Centrali (DM 22 maggio 2012) l’altro per Regioni ed Enti Locali, che ricomprende anche la certificazione delle somme dovute degli enti del Servizio Sanitario Nazionale 25 giugno 2012).
I decreti obbligano le amministrazioni a rilasciare, su richiesta del creditore, una certificazione dei crediti certi, liquidi ed esigibili.
In un primo momento dal Ministero del Tesoro era stata predisposta una modulistica che doveva essere compilata dall’Impresa che richiedeva la certificazione. Successivamente, è stata approntata una piattaforma elettronica per la certificazione dei crediti, con la conseguenza che tutte le istanze devono essere presentate utilizzando in via esclusiva il sistema predetto. Il sistema telematico predetto, prevede che nel richiedere la certificazione l’impresa fornisca i dati delle fatture e gli estremi della prestazione, indicando se intenda o meno utilizzare il credito in compensazione.
Tuttavia, il sistema chiede all’Impresa di impegnarsi:
- a non attivare procedimenti in sede giurisdizionale con riferimenti ai crediti di cui all’istanza, e a non cedere a terzi i crediti stessi, e ciò nelle more dell’ottenimento della certificazione ovvero della comunicazione del diniego dell’istanza;
- a non attivare, in caso di rilascio della certificazione, procedimenti in sede giurisdizionale con riferimento ai crediti di cui all’istanza, fino alla data che verrà indicata per il pagamento, o nel caso in cui questo non venga indicato, nei 12 mesi successivi alla data di certificazione.
Allo scrivente legale, senza dubbio, desta perplessità che l’imprenditore sia chiamato a fare una rinuncia di propri diritti costituzionalmente tutelati (cioè il diritto a far valere le ragioni del proprio credito rivolgendosi ad un giudice), per ottenere in cambio dallo Stato debitore una mera dichiarazione di ricognizione del proprio debito dovuto ad egli imprenditore.
In effetti lo Stato, già fisiologicamente debitore, chiama il proprio creditore a rinunciare al proprio diritto in cambio di una certificazione che può essere fatta valere solo nei confronti di sé Stato o del servizio bancario nazionale.
Una evidente criticità del sistema è da ricercare nel fatto che le dichiarazioni, da sottoscrivere al momento della presentazione dell’istanza di certificazione, contenenti l’impegno a non intraprendere azioni giudiziarie nei confronti del debitore, sono prive di data certa.
In effetti, per quanto riguarda l’impegno a non attivare le procedure giudiziarie nell’attesa del rilascio/diniego della certificazione, è evidente come sia assolutamente indeterminato il periodo in cui debba valere questo impegno: la certificazione andrebbe rilasciata entro 60 giorni dalla richiesta, e in caso di mancata risposta entro i 60 giorni, l’azienda può ricorrere alla Ragioneria territoriale dello Stato competente, che nomina un Commissario ad Acta che deve rispondere entro 60 giorni, sostituendosi così all’amministrazione inadempiente.
I termini sopra indicati sono da considerarsi in fondo ordinatori e non perentori, e comunque la procedura di attesa della risposta e decisione di rivolgersi al commissario ad Acta richiede una serie di adempimenti che fanno decorrere ulteriore tempo. Ed inoltre è evidente come le procedure di rilascio/diniego potrebbero essere molto più lunghe di quelle previste a causa di richieste di integrazioni documentali, verifiche, commissariamenti, etc.
Per quanto riguarda, poi, l’impegno dell’imprenditore a non attivare procedure giudiziarie fino alla data indicata per il pagamento dalla P.A., risulta essere evidente per lo scrivente difensore che tale impegno assuma caratteri di grande indeterminatezza temporale, risultando in pratica essere sine die: a rigore di logica, laddove la P.A. indicasse una data di pagamento a due/tre anni, l’imprenditore dovrebbe comunque attendere e nulla fare. Così pure, laddove la P.A. indicasse una data più ravvicinata (ad esempio un anno), nulla vieterebbe alla stessa di procrastinare tale data con una mera comunicazione facente riferimento alla assenza di liquidità in cassa, ovvero anche per il tramite di comunicazioni rese telefonicamente dal dirigente responsabile (con le modalità, a volte anche minacciose, solite). Ed infatti, va notato come nel Decreto Ministeriale vi sia espressamente indicato che “gli Enti del Servizio Sanitario Nazionale sono vincolati agli obblighi del presente decreto solo se compatibili con i saldi programmati di finanza pubblica”: dicitura, questa, tanto criptica quanto aleatoria, che lascia aperta la possibilità concreta di disattendere la data del pagamento e procrastinare la data stessa con comunicazioni più o meno credibili e più o meno provenienti da alte sfere dirigenziali.
Per quanto riguarda poi il caso in cui la P.A. non indichi nella certificazione la data del pagamento, risulta essere molto grave e pesante per l’imprenditore, dover attendere 12 mesi dalla data di rilascio della certificazione, senza fare iniziative giudiziarie: poiché la data di rilascio della certificazione, come abbiamo detto poco fa, può avvenire in un lasso di tempo indeterminato e anche già di per sé lungo, senza dubbio l’imprenditore dovrà attendere almeno un anno e mezzo prima di poter agire per il proprio diritto a riscuotere il credito. Appare fin troppo evidente, dalla mera lettura del DM, che lo scopo della procedura di rilascio della certificazione sia in fondo quello di non indicare alcuna data di pagamento e di non prendere alcun impegno di onorare il proprio debito nei confronti dell’imprenditore: infatti, l’articolo 2 comma 2 esplicitamente chiarisce che “ai fini del rispetto del patto di stabilità interno il certificato può essere emesso senza data”.
Ma una cosa in particolare attrae l’attenzione dello scrivente legale!
Il Decreto Istitutivo della certificazione dei crediti da parte delle Imprese delle Regioni, degli Enti Locali e del Servizio Sanitario Nazionale (DM 25 giugno 2012) non prevede in alcun punto del testo normativo che l’imprenditore debba impegnarsi a rinunciare alla possibilità di far valere i propri diritti (cioè il recupero del credito) mediante azioni giudiziarie.
Ossia, per meglio dire, il decreto ministeriale e comunque le circolari esplicative ministeriali sul tema, non stabiliscono che la P.A. debba/possa condizionare il rilascio della certificazione del credito all’impegno dell’imprenditore a rinunciare a far valere il credito giudiziariamente. Né tanto meno autorizzano la P.A. a farsi rilasciare simili impegni.
Lo scrivente legale fa notare che le diciture in questione compaiono solo nella “modulistica” on line, ma non trovano fondamento nel decreto istitutivo della procedura.
Anzi, laddove il DM disciplina il caso in cui sulla certificazione la P.A. non apponga la data del presunto futuro pagamento, espressamente poi stabilisce che “la tempistica dei pagamenti avviene in conformità con gli obiettivi di finanza pubblica e non si applica la compensazione di cui all’articolo. 28 quaterne del Decreto D.P.R. 29.09.73 n. 602.”
Lo scrivente legale ritiene, infine, che sia alquanto discutibile che l’iter amministrativo predisposto on line per il rilascio della certificazione del credito non espliciti all’imprenditore una cosa assai importante: la certificazione, configurandosi come un semplice atto di ricognizione del debito, non determina una novazione del rapporto giuridico, e non pregiudica il diritto del creditore agli interessi relativi ai crediti certificati, come regolati dalla normativa vigente o dai patti tra le parti.
Questo è espressamente stabilito dal DM all’articolo. 1 comma 3.
Ed invece la P.A., nel rilasciare la certificazione del credito all’Imprenditore, omette ovviamente di calcolare la misura del credito per interessi già maturato a quella data e omette di esplicitare che sul credito certificato maturano e matureranno comunque interessi di mora.
Questo, con evidenza, avviene perché la P.A., come al solito, disattenderà il pagamento all’imprenditore degli interessi sul debito scaduto: mai la P.A. pagherà gli interessi.
In conclusione, lo scrivente legale ritiene che lo strumento della certificazione del credito può essere ritenuto una valida strada da percorrere solo nel caso in cui l’imprenditore voglia porre il proprio credito certificato a compensazione di un proprio debito con l’erario.
In questo caso la rinuncia alla possibilità di agire giudiziariamente per il recupero del credito non avrebbe effetti negativi per l’imprenditore che vedrebbe, con la compensazione, subito soddisfatte le proprie ragioni e obiettivi. In un simile caso, d’altra parte, l’imprenditore non dovrà dimenticare di attivarsi per il recupero del proprio credito per interessi di mora maturato (come previsto dal DM) e che, come visto, non vengono ricompresi nella certificazione fatta dalla P.A..
Invece, nel caso in cui l’imprenditore con la certificazione del credito ritenga di ottenere dalla P.A. una forma di tutela delle proprie ragioni di credito, lo scrivente legale ritiene che la strada prospettata dallo Stato sia non idoneamente percorribile dall’imprenditore, poiché esso riceverà, in cambio di una mera certificazione di ciò che lui già sa contabilmente di meritare, l’assoluta indeterminatezza da parte della P.A. su quando interverrà il pagamento, con alto rischio di attendere per ulteriori anni senza poter neanche attivarsi giudiziariamente per la tutela dei propri diritti violati. In questa prospettazione di cose, il danno per l’imprenditore potrà essere davvero elevato, anche perché subdolamente la P.A. lo avrà reso incapace e impossibilitato ad agire e difendersi (stante l’impegno a non fare azioni giudiziarie per un periodo lungo e indeterminato).
E quindi tutto il sistema approntato dal Ministero del Tesoro, con le schermate che Voi As.F.O. mi mostrate, sembra indirizzato a favorire il sistema bancario nazionale: sono le banche le uniche a richiedere la certificazione per mantenere vivi e aperti i rapporti creditizi e correntisti dell’impresa in crisi, sono le banche le uniche interessate ad acquisire crediti certificati dalla P.A., subentrando così anche nei diritti di recupero degli interessi di mora maturati (che si volatilizzano per l’imprenditore).
Ad ogni modo, per quanto riguarda l’impegno richiesto all’imprenditore di non azionare giudiziariamente i crediti, rinunciando così ad un diritto costituzionalmente riservato, si insiste nel richiamare l’attenzione della Vostra Associazione sul fatto che tale impegno non è normativamente previsto, ma è stato previsto/imposto unilateralmente dal Ministero del Tesoro in sede di creazione della piattaforma, con il chiaro scopo di procrastinare i pagamenti della P.A. a “data da destinarsi” o per meglio dire sine data, paralizzando l’imprenditore creditore e consegnandolo nella morsa della Banche.
Resto a disposizione per eventuali chiarimenti sul punto.
Distinti saluti.
Avv. Federico Lerro