L’assicurazione del veicolo investitore potrebbe dover risarcire anche i danni lamentati dal datore di lavoro della vittima del sinistro
Quando un lavoratore dipendente è vittima di un sinistro, gli enti previdenziali (Inps – Inail) garantiscono una quota della retribuzione per poi rivalersi sull’assicurazione del responsabile dell’evento dannoso. Tuttavia, in base alla normativa speciale e alla contrattazione collettiva, restano ugualmente a carico del datore di lavoro i costi che maturano per il dipendente (retribuzione, contributi, ferie, 13 a, 14 a, TFR, gratifiche, indennità di malattia, spese per sostituirlo, etc.) durante tutto il periodo in cui quest’ultimo resta assente dal luogo di lavoro a causa delle lesioni riportate.
Questo poiché, nella logica del rischio d’impresa, il legislatore ha ritenuto di porre a carico del datore di lavoro le conseguenze della malattia del proprio dipendente.
Tuttavia, viene spontaneo domandarsi se il suddetto rischio d’impresa possa essere ugualmente addossato al datore di lavoro anche quando l’assenza del dipendente è stata determinata dal comportamento illecito di un terzo.
Per lungo tempo, si è ritenuto che i suddetti esborsi spettassero esclusivamente al datore di lavoro, con la conseguenza che quest’ultimo era gravato da un forte pregiudizio, in quanto, oltre alla perdita della prestazione lavorativa del proprio dipendente, era tenuto anche all’esborso della retribuzione e degli accessori.
Tuttavia, solo agli inizi degli anni Novanta, il quadro giurisprudenziale notevolmente ostile al risarcimento del danno patito dal datore di lavoro è stato ribaltato dalle Sezioni Unite della Cassazione che, con la storica sentenza n. 174 del 1991, nota anche come sentenza “Meroni”, hanno statuito, per la prima volta, la risarcibilità del danno subito del datore di lavoro a seguito di un fatto illecito altrui.
La sentenza riguardava un noto calciatore del Torino F.C., Luigi Meroni, che era stato investito e ucciso da un automobilista. A seguito dell’incidente, infatti, la squadra di calcio, nella propria veste di datore di lavoro, promuoveva un giudizio risarcitorio nei confronti del responsabile, lamentando il danno derivante dal non poter utilizzare le prestazioni del proprio calciatore.
Le Sezioni Unite con la suddetta sentenza enunciarono due principi fondamentali: il primo, “chi, con il suo fatto doloso o colposo, cagiona la morte del debitore altrui è obbligato a risarcire il danno subito dal creditore, qualora quella morte abbia determinato l’estinzione del credito e una perdita definitiva e irreparabile per il creditore medesimo”; il secondo, “è definitiva e irreparabile la perdita quando si tratti di obbligazioni di dare a titolo di mantenimento o di alimenti, sempre che non esistano obbligati in grado eguale o posteriore, che possano sopportare il relativo onere, ovvero di obbligazioni di fare rispetto alle quali vi è insostituibilità del debitore, nel senso che non sia possibile al creditore, procurarsi se non a condizioni economiche più onerose, prestazioni eguali o equipollenti”.
Quasi vent’anni dopo, le Sezioni Unite tornarono sul punto perfezionando ulteriormente il principio. Infatti, con la sentenza n. 6132 del 1988 le Sezioni Unite stabilivano che “il responsabile di lesioni personali in danno di un lavoratore dipendente, con conseguente invalidità temporanea assoluta, è tenuto a risarcire il suo datore di lavoro per la mancata utilizzazione delle prestazioni lavorative; e ciò a prescindere dalla sostituibilità o meno del dipendente”.
Così facendo, la Corte ha offerto al datore di lavoro una tutela ancora più ampia rispetto a quella stabilita per la perdita di un giocatore “insostituibile”.
Seguendo fedelmente quanto statuito dalle Sezioni Unite, la giurisprudenza di merito e, in particolare, una recente sentenza del Giudice di Pace di Palermo del 16 dicembre 2014, in applicazione del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, ha condannato l’assicurazione del veicolo investitore a risarcire i danni, non solo patiti dalla vittima diretta, ma anche quelli lamentati dal suo datore di lavoro.
Più precisamente, si è ritenuto che dovesse essere riconosciuta la risarcibilità del danno patrimoniale patito dal datore di lavoro “per la mancata utilizzazione delle prestazioni lavorative del proprio dipendente”, poiché ciò integra un ingiusto pregiudizio a prescindere dalla sostituibilità o meno dello stesso.
Si è, inoltre, ritenuto che tale pregiudizio dovesse essere liquidato sulla base dell’ammontare delle retribuzioni e dei contributi previdenziali, obbligatoriamente pagati durante il periodo di assenza dell’infortunato, atteso che il relativo esborso esprime il normale valore delle prestazioni perdute.
Infine, nella sopra menzionata sentenza, è stata enunciata anche la possibilità del datore di lavoro di esercitare l’azione di rivalsa direttamente nei confronti della compagnia di assicurazione del responsabile del sinistro.
Infatti, per consolidata giurisprudenza, l’art. 144 del Codice delle Assicurazioni prevede l’azione diretta contro l’assicurazione non soltanto in favore delle persone direttamente e fisicamente coinvolte nell’incidente, ma anche di tutte quelle che abbiano subito un danno in rapporto di derivazione causale con l’incidente medesimo, e, quindi, anche il datore di lavoro, riguardo al pregiudizio subito per l’invalidità temporanea del dipendente.