Se non ci sei più tu, io cado a pezzi…
La gestione del lutto in conseguenza di un evento traumatico dal punto di vista psicologico e legale
Dott.ssa Loretta Moroni – Psicoterapeuta del Centro Moses – Avvocato dello Studio Legale LDS
Dal punto di vista psicologico, la sofferenza per la perdita di un proprio caro a causa di un evento imprevisto, incolpevole e traumatico, può determinare un “distress” tale da modificare profondamente il normale funzionamento della persona.
Il lutto, infatti, può indurre un grande dolore psichico caratterizzato da sentimenti di vuoto, di perdita, di inutilità e di solitudine, o anche da pensieri e paure di morte incentrati sulla persona che è venuta a mancare.
La situazione si complica ulteriormente se la morte è avvenuta in modo violento e inaspettato come nel caso di un sinistro stradale, specialmente se chi rimane è stato anche testimone del tragico evento.
In quest’ultimo caso, al dolore per la perdita si aggiunge anche il trauma, che sarà tanto più distruttivo quanto più il testimone è piccolo o vulnerabile. Pensiamo, ad esempio, a un figlio che vede morire il padre in un incidente del quale anch’egli è protagonista. Al vuoto della perdita si aggiunge inevitabilmente la paura, il trauma.
La comunità psichiatrica ha a lungo dibattuto per distinguere una normale e fisiologica reazione al lutto da un Episodio Depressivo Maggiore. Dal dibattito era emerso che il lutto avrebbe potuto essere causa di depressione solo in persone ad essa già vulnerabili o predisposte e, in tal caso, la prognosi sarebbe stata più grave e solitamente avrebbe richiesto il ricorso a farmaci antidepressivi. Questo dibattito non prendeva però in considerazione quelle condizioni di sofferenza psicologica solitamente e frequentemente derivanti da un lutto, che permangono per un tempo superiore a 12 mesi e che, se pure non giungono a essere depressivi in senso stretto, compromettono ugualmente la vita lavorativa, sociale della persona rimasta in vita.
Nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-V, 2014), a seguito degli studi di Holly Prigerson finalmente compare la diagnosi di disturbo da lutto persistente complicato. Tale condizione psicopatologica implica la presenza di persistente nostalgia/desiderio della persona deceduta, associata a dolore e pianto frequente o preoccupazione per il defunto.
Si osserva sofferenza reattiva alla morte, tra cui difficoltà marcata ad accettarla, sentimenti di rabbia in relazione alla perdita, sensi di colpa. Si osserva inoltre disordine sociale e dell’identità, tra cui confusione circa il proprio ruolo nella vita, desiderio di morire per essere vicini al defunto, sensazione di distacco dagli altri. Questo disturbo può verificarsi a ogni età, a partire dall’anno di vita.
I sintomi di solito iniziano entro un mese dalla morte, sebbene ci possa essere un ritardo di mesi o anche di anni prima che si manifesti la sindrome completa e, per poter essere considerati tali, devono persistere per almeno 12 mesi. Alcune persone con disturbo da lutto complicato possono presentare allucinazioni o sintomi somatici tra cui quelli che può aver provato il deceduto.
Tra le psicoterapie esistenti, la terapia E.M.D.R. è riconosciuta efficace per dare sollievo sia agli aspetti connessi al legame di attaccamento con il defunto, sia agli aspetti traumatici della morte (R. Solomon), evitando che i “pezzi” della persona che soffre per una perdita non si riescano più a ricomporre.
A livello giuridico, sebbene nulla possa alleviare la perdita violenta e improvvisa di un proprio caro, così come nulla può riportarlo indietro dai suoi affetti, viene riconosciuto il danno da perdita parentale.
In pratica, il danno da perdita parentale è previsto a ristoro, per quanto possibile, del vuoto affettivo, materiale e morale lasciato dalla perdita improvvisa del proprio caro, dalla rottura del precedente regime di vita e dalla sofferenza psicofisica patita dal congiunto rimasto in vita.
Esistono Tabelle di quantificazione del danno da perdita parentale (cfr. anche “Danno da perdita parentale”), che costituiscono il punto di partenza per quantificare il danno sulla base delle evidenze risultanti nel caso concreto, che saranno tanto dati fattuali (ad esempio, il legame affettivo dovuto alla convivenza con il caro deceduto), quanto dati psicofisici messi in rilievo da uno specialista psicoterapeuta.