Caratteristiche di un dipendente affettivo
In questo articolo mi focalizzerò a descrivere la dipendenza affettiva e le caratteristiche della persona che soffre di dipendenza affettiva.
Cos’è la dipendenza affettiva?
La dipendenza affettiva è un disturbo molto attuale che caratterizza la società odierna, anche se è sempre esistita. In un contesto socio culturale in cui non vi sono più punti saldi, valori a cui aggrapparsi, dove tutto corre veloce e le relazioni sono sempre più “liquide”, si sente il bisogno di colmare il vuoto dentro di sé “dipendendo” da un’altra persona. Vi è l’idea che l’altro possa proteggerlo dal resto del mondo e soddisfare tutti i suoi bisogni.
La dipendenza non è di per sé un concetto negativo dato che è normale che in una relazione ci sia un certo grado di dipendenza.
Quando allora la dipendenza diventa patologica?
Quando l’amore incatena, impedisce la libertà dell’individuo. Il dipendente affettivo vede nell’amore la risoluzione di tutti i suoi problemi.
Quali sono le caratteristiche della dipendenza affettiva?
Secondo Giddens la dipendenza affettiva presenta alcune caratteristiche:
- Lo stato di ebbrezza: il soggetto prova una sensazione di ebbrezza dalla relazione con il partner.
- La dose: il soggetto ricerca dosi sempre maggiori di presenza. L’altro non basta mai, il dipendente esiste solo quando l’altro c’è.
- Le normali attività quotidiane sono trascurate, l’unica cosa importante è il tempo trascorso con l’altra persona.
- Vi è una paura ossessiva di perdere la persona amata, si è disposti a fare qualsiasi cosa pur di non perderla.
In questo modo la persona che soffre di love addiction trascura tutto il resto come le relazioni affettive, il lavoro…si riducono i propri spazi di indipendenza. Anche se il dipendente affettivo è consapevole che la relazione è senza speranza non riesce ad interrompere la storia.
Secondo Guerreschi chi soffre di dipendenza affettiva ha difficoltà nel riconoscere i propri bisogni, non riesce a prendersi degli spazi per se stessi nè a prendersi cura di sé. Verso se stessi hanno un atteggiamento negativo. L’idea di fondo che guida il comportamento del dipendente è: “per poter essere amato devo sacrificarmi per l’altro”. Questo pensiero è stato appreso nei primi anni di vita e viene riprodotto nella storia di coppia.
L’individuo con dipendenza affettiva ha paura di cambiare e pensa che occupandosi sempre dell’altro la loro relazione diventi stabile, poi viene inevitabilmente deluso dall’altro, perché quello che fa non è mai abbastanza. I dipendenti affettivi sono dominati dalla paura di perdere l’altro. La dipendenza viene nutrita dal rifiuto dell’altro.
Ciò che incatena il dipendente è l’idea di sfida ovvero la presunzione di riuscire a farsi amare da chi proprio non ne vuole sapere.
Guerreschi riferisce che chi soffre di dipendenza affettiva proviene da una famiglia in cui i bisogni emotivi sono stati trascurati, nell’infanzia non si è potuto sperimentare una sensazione di sicurezza all’interno delle relazioni significative, generando così un bisogno di controllare il partner e la relazione da adulte.
E’ un disturbo che colpisce anche gli uomini?
Questo disturbo colpisce anche gli uomini anche se in modo inferiore rispetto alle donne, in quanto quest’ultime sono propense a pensare continuamente al problema che stanno vivendo, invece gli uomini sono più portati ad agire, a sfogare i propri problemi sul lavoro o ad allontanare il dolore facendo uso di sostanze.
Quindi la persona che soffre di dipendenza affettiva ha una bassa stima di sé , non si sente mai abbastanza amata e le rassicurazioni del partner non servono a nulla.
Come uscirne?
La persona dipendente non riesce da sola ad uscire dalla relazione, anche se spesso è consapevole che la relazione è senza speranza. Per questo è importante che cerchi aiuto in una terapia individuale e in alcuni casi anche in percorsi di gruppo.
dott.ssa Laura Tavani
Psicologa-Psicoterpeuta
www.psicomodena.com
Bibliografia:
Guerreschi C. (2011) “La dipendenza affettiva. Ma si può morire d’amore?” Ed. Franco Angeli, Milano
Giddens. A. (1995) “La trasformazione dell’intimità”, il Mulino, Bologna.