Giudice unico o giudice collegiale? Uno studio esplorativo all’interno della magistratura italiana giudicante in campo penale
Cosa succederebbe se in Italia giudicasse sempre un collegio di giudici, invece che un giudice solo? Ci sarebbero meno errori giudiziari? E quanto potrebbero essere oggettive le decisioni prese da parte di un insieme di persone piuttosto che da un unico individuo?
Già nel 1807 Giuseppe Luosi, gran giudice e Ministro della Giustizia del Regno d’Italia, in una relazione a Napoleone І, Re d’Italia, sulla riforma dell’organizzazione giudiziaria, affermò che il giudizio collegiale è intrinsecamente migliore rispetto a quello unico e che l’oralità del dibattimento è un istituto che deve essere sempre alla base del processo penale.
Con l’avvento delle teorie rivoluzionarie di Freud e la sua innovativa scoperta dell’inconscio, come di quel complesso di processi, contenuti ed impulsi di cui non siamo consapevoli, si solleva per la prima volta nel diritto italiano, la questione inerente la possibilità che dei processi psicologici esistano e che possano quindi influenzare le decisioni del giudice che, in quanto essere umano, non ne è esente, proprio come chiunque altro. Per contrastare l’influenza che la psicologia dell’inconscio può avere sul giudizio finale, l’istituzione della collegialità del giudizio è stata vista all’inizio del Novecento come un avvento a cui aspirare, una conquista della civiltà e della libertà, al pari del diritto dell’oralità del dibattimento.
Fortunatamente oggi, sulla scia di questi interrogativi, in Italia quasi tutte le forme di giudizio (specie per quelle più gravi) sono in composizione collegiale; ma sorgono ancora spontanee delle domande: quanto è effettivamente attendibile e oggettivo il giudizio collegiale? È davvero esente da critiche? E ancora: in che modo il giudizio collegiale differisce da quello monocratico? Ed il primo è davvero migliore del secondo?
Queste sono state le domande fondanti uno studio esplorativo condotto nel 2012 rivolto ai componenti della magistratura operante i campo penale. È stato inviato per via telematica ai giudici, un questionario da compilare in forma anonima; è importante sottolineare che delle 1356 e-mails inviate, solo in 78 hanno risposto: il 5.75%, una percentuale irrisoria che ha alla base due motivazioni: le problematicità derivanti dalla somministrazione telematica e l’ermeticità, caratteristica tipica della classe magistrale, difficilmente penetrabile, soprattutto dalla ricerca scientifica.
Attraverso le analisi sulla percezione che la componente giudicante ha avuto rispetto alle domande fatte, si è cercato di rispondere alle ipotesi di ricerca qui sotto elencate:
- Il collegio giudicante è un piccolo gruppo sociale – L’88.5% del campione ha affermato che “un giudice collegiale può essere definito come un gruppo dove è presente uno scambio di idee”. L’ipotesi di partenza sarebbe quindi confermata.
- Un giudice collegiale è un decisore migliore rispetto a un giudice monocratico, perché lo scambio di informazioni rende la sentenza finale più conforme alla verità storica dei fatti – Nonostante quest’ipotesi non possa essere effettivamente testata da questo studio, possiamo comunque fare delle considerazioni, sulla base delle risposte del campione: il 64.1% dei partecipanti preferirebbe la formula collegiale in ogni stato e grado del giudizio e di questi, il 70% lo sceglierebbe perché “lo scambio di opinioni e il confronto tra giudici da maggiori garanzie di correttezza della valutazione” (affermazione che, assieme all’ipotesi precedente, sottolinea l’importanza della dimensione dello scambio e del confronto). Per contro, il rimanente 35.9% del campione opta per un giudizio monocratico, ma dalle motivazioni fornite, non sembrerebbe che questa formula venga ritenuta intrinsecamente migliore, in quanto vengono fornite delle giustificazioni più di ordine estrinseco: infatti, il 51.9% di questi soggetti ha affermato che preferisce il giudice unico perché “è più veloce, efficiente e meno costoso”. Alla luce di ciò, seppur non possiamo affermare che l’ipotesi sia confermata, potremmo comunque dire che vi sono ottime basi per la ricerca futura di poter verificare quest’ipotesi.
- I giudici onorari sono poco considerati ai fini della sentenza, in quanto non sono esperti conoscitori della legge come lo sono i magistrati togati – In riferimento a quest’ipotesi vi sono dei dati discordanti: nonostante il 35.9% del campione sia favorevole all’utilizzo dei giudici onorari nel Tribunale dei minori e nel Tribunale di Sorveglianza, solo la metà dichiara che una sentenza è migliorata grazie al loro apporto. Inoltre, secondo il 64.1% del campione, i giudici onorari sarebbero più esposti alle influenze psicosociali (pregiudizi, persuasione, conformismo,…), che possono quindi alterare la loro capacità di giudizio. Quest’ultima informazione confermerebbe in parte questa terza ipotesi, cioè che non conoscendo in modo ottimale la legge come un magistrato togato, la loro opinione è meno oggettiva; bisogna però rilevare che la loro presenza nei Tribunali di Sorveglianza e dei minori è bene accetta.
- I magistrati togati sono poco consapevoli di alcune dinamiche psicologiche e psicosociali che possono influenzare le loro opinioni, anche in relazione ad un’assenza di formazione nelle scienze psicologiche – Il campione afferma, in linea generale, di non essere in alcun modo influenzato dai pregiudizi dalla categoria sociale a cui appartengono sia gli imputati che i colleghi, ovvero sia la discussione in Camera di Consiglio, che la sentenza finale sono esenti dall’influenza che i pregiudizi possono esercitare. Dichiarano che è assente il fenomeno della polarizzazione di gruppo, promuovendo quindi l’effetto di depolarizzazione, per cui la decisione finale risulterà dalla media delle singole opinioni, generando quindi un compromesso, per cui la sentenza risulterà più moderata rispetto alla posizione iniziale di ogni membro; non danno a prescindere, un credito di correttezza alla posizione della maggioranza, ma affermano di farsi promotori di idee nel caso dovessero trovarsi in minoranza.
- Il presidente della Camera di Consiglio detiene, almeno da un punto di vista formale, la leadership, così come indicato dal Codice di Procedura Penale (art. 527) – Come per l’ipotesi n° 2, anche questa non può essere verificata attraverso questo studio, ma possiamo comunque evidenziare la maggior informalità di cui si caratterizzerebbe il collegio agli occhi dei magistrati che lo compongono: il presidente, come anche gli altri membri della Camera di Consiglio, non avrebbe quel ruolo così formalmente strutturato come il Codice di Procedura Penale lo descrive e come l’opinione comune so lo immagina e anche le operazioni di delibera sembrerebbero molto più informali di quanto le si creda.
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Dott.ssa Barbara Pagliari, psicologa
Articolo già apparso su LR Psicologia
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