Il caso fortuito e il danno per la rovinosa caduta sul pavimento bagnato e insaponato di un’attività commerciale
Luci, colori e vetrine attraggono ed è così più facile non rendersi conto di insidie, che possono talvolta trasformare un momento spensierato in un vero e proprio dramma.
Tuttavia, alcune volte, oltre a rimproverare la propria disattenzione, bisognerà valutare se in concreto si possa configurare una vera e propria responsabilità del titolare del negozio.
In particolare, in capo al titolare dell’attività commerciale potrebbe configurarsi responsabilità civile ex art. 2051 Cod. Civ., in forza della quale “ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”.
Si tratta di un’ipotesi di responsabilità oggettiva, in virtù della quale incombe sul danneggiato la prova del nesso causale e del rapporto di custodia; e sul custode, incombe la prova del caso fortuito.
Nel corso degli anni, si è arrivato a precisare che la prova del caso fortuito deve avere contenuto concreto e non può limitarsi né alla mera allegazione, da parte del custode, di una violazione di norme di condotta imputabile al danneggiato (in tal senso, Cass. 22 marzo 2011, n. 6550; Cass. 2 febbraio 2010, n. 2360), né ovviamente alla semplice allegazione di un’ulteriore causa rimasta ignota (in tal senso, Cass. 15 ottobre 2004, n. 20335).
In particolare, poi, la giurisprudenza costantemente ha ritenuto che il caso fortuito deve avere i caratteri dell’imprevedibilità e inevitabilità.
In pratica, non può considerarsi come fortuito, il fattore il cui intervento nella verificazione dell’evento è statisticamente frequente e, comunque, talmente probabile da potersi considerare oggettivamente prevedibile (Cfr. Cass. 24 febbraio 2011, n. 4476; Cass. 19 gennaio 2010, n. 713; Cass. 10 marzo 2009, n. 5741).
Un caso frequente può essere quello di chi cade sulle scale di un edificio o attività commerciale. Tale caso, ad esempio, è stato affrontato dalla Suprema Corte, con la sentenza n. 7125/13, nella quale si affronta la pericolosità o meno della cosa inerte (la scala) alla luce della sua conformazione strutturale. In tal caso, la Suprema Corte afferma che una cosa inerte può considerarsi causa del danno, solo se determini un “alto rischio di pregiudizio nel contesto di normale interazione con la realtà circostante”. In altri termini, la vittima del sinistro dovrà provare che la cosa anche se utilizzata normalmente, presenta comunque dei rischi tali da cagionare il danno.
Un’altra fattispecie classica è quella affrontata dalla Suprema Corte, con sentenza n. 20055/2013, nella quale si affronta il caso di una giovane che cadeva rovinosamente, a causa del pavimento bagnato e scivoloso, all’interno di un’attività commerciale, riportando la rottura del femore destro. In siffatto caso, la Suprema Corte ha ritenuto che un pavimento bagnato e reso scivoloso dall’acqua insaponata fa sì che si configuri un grave rischio di pregiudizio nell’interagire con la cosa (il pavimento). Del resto, il fatto che un soggetto entri in un esercizio commerciale aperto al pubblico non può in alcun modo rappresentare né un uso improprio del pavimento, né una condotta abnorme o imprevedibile, se è vero che i locali di un esercizio commerciale sono per definizione destinati ad ospitare l’accesso di ogni genere di cliente.
Alla luce di quanto detto, si può dunque ritenere che, secondo la maggioritaria giurisprudenza, il caso fortuito si configura ogniqualvolta intervenga un fattore esterno ed interruttivo del nesso causale fra la cosa e il danno. Inoltre, il custode potrà liberarsi fornendo una prova concreta e non generica del fattore esterno che ha cagionato il danno, interrompendo il nesso causale tra il bene e l’evento.
In ultimo, andrà valutata anche la pericolosità intrinseca della cosa inserita nel contesto con cui interagisce, nonché la condotta del danneggiato, che dovrà essere estranea e ordinaria rispetto all’evento negativo da cui scaturisce il danno.